Scritto da Serena Cinquepalmi (Corso di Laurea in Lingue e culture occidentali e orientali)

«Tutti gli uomini hanno diritto alla vita, alla libertà e alla felicità. Fine e dovere dello stato e dei suoi cittadini è la grazia dei diritti sociali, economici e civili della persona.» (Comma 1 art. 5 della Costituzione di Sacharov).

Sacharov, importante intellettuale russo, politico, scienziato e attivista, nasce in Russia negli anni Venti del Novecento.

Proprio in quanto personalità di grande spessore si è anche occupato della scrittura di una Costituzione suddivisa in quarantasei articoli che egli stesso si era appuntato sul suo taccuino. È qui che il carattere dell’originalità e della creatività si sposano con quello della lungimiranza e della profonda saggezza che abitavano in quest’uomo.

Sin da quest’articolo è possibile concepire come il focus dell’intera opera sia sull’individuo e sul suo diritto e dovere alla felicità che, come suggerito dall’attore e regista Roberto Benigni, va sempre cercata in quanto dote, regalo che è stato donato all’umanità che nascosta troppo bene da non riuscire più ad essere trovata.

Benigni e Sacharov spingono il genere umano a fare il contrario: a dissotterrarla e a lottare sempre per la felicità che viene anche messa come caposaldo di un codice fondamentale, com’è quello della Costituzione. Sacharov, inoltre, in poche righe lui parla dello stato che dovrebbe farsi servitore non dell’uomo, non del cittadino, ma della persona. 

È la persona, l’essere umano in quanto tale ad essere sempre stato al centro del dibattito e del pensiero politico di Andrej Sacharov il quale suggeriva che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo avrebbe dovuto avere un peso maggiore delle altre leggi emanate in Europa.

Tuttavia, quest’uomo non fu solo un politico, anzi, Andrej Sacharov nasce come fisico, è fin da giovane un brillante studioso al punto tale da partecipare alla costruzione della bomba ad idrogeno sovietica.

Successivamente comincerà ad interessarsi anche di diritti umani, per poi abbandonare del tutto la sua professione di fisico.

Nel 1975 egli riceve il premio Nobel per la pace, ma non riesce a ritirarlo perché è in esilio a Gor’kij (l’odierna Nižnij Novgorod).

Egli ritorna a Mosca su decisione del presidente dell’URSS Michail Gorbačëv nel 1986 e tre anni più tardi viene eletto al Congresso dei deputati del popolo, ma morì a causa di un malore nel 1989.

In suo onore, ogni anno dal 1988 l’Unione Europa consegna il premio Sacharov a singoli, gruppi e organizzazioni che abbiano contribuito in modo eccezionale alla protezione della libertà di pensiero.

I primi a ricevere questo riconoscimento sono stati nel 1988 Nelson Mandela e Anatolij Marčenko, nel 2021 è stato consegnato alla figlia di Alexei Navalny, mentre nel 2022 al popolo ucraino.                                                                        

Negli anni Ottanta nasce a Mosca su idea di Andrej Sacharov il “Memorial”, una ONG che si occupa della memoria delle violazioni e della difesa dei diritti umani oltre che interessarsi alla raccolta di documenti della tragica storia della Russia con riferimenti ai lager e ai gulag.

Tra il 1992-93 gli storici del Memorial sono stati invitati negli archivi statali per fare ricerche e tutto questo processo ha portato alla creazione di una banca dati online che conta le vittime del periodo dello stalinismo.

Successivamente con il governo di Vladimir Putin queste ricerche sono state bloccate perché bisognava fissare l’attenzione sui più gloriosi eventi della presidenza di Stalin (come, ad esempio, il suo aver permesso all’URSS di diventare una delle nazioni vincitrici della II guerra mondiale).

Il più recente progetto del Memorial è definito “L’ultimo indirizzo”, targhette simili alle pietre di inciampo vengono applicate in corrispondenza di quelle che sono state le ultime abitazioni della gente che poi non è più tornata dai gulag.

Nel dicembre 2021 la Russia ha ordinato la chiusura del “Memorial” accusato di agire come «agente straniero» e di «creare una falsa immagine dell’URSS».

Nonostante tutto sarebbe errato pensare al popolo russo come complice di un governo che spesso è esso stesso il primo a contestare con manifestazioni in piazza, in particolare negli anni 2000, il 31 di ogni mese si andava a protestare sotto la statua di Sacharov a San Pietroburgo per ricordare l’articolo n.31 della costituzione russa che cita e pone in primo piano il diritto dei cittadini a riunirsi pacificamente in cortei, riunioni e manifestazioni.

Ci si domanda spesso dove siano finiti oggi questi attivisti. Molti sono stati imprigionati, mentre altri sono stati costretti a fuggire, considerato che al giorno d’oggi è molto semplice finire in cella: essere attivisti, definire l’invasione dell’Ucraina come una «guerra» (per i Russi è una «operazione speciale») e rifiutarsi di partecipare a quello che gli europei definiscono «conflitto».                                     

Da settembre 2022, a seguito della sua espulsione dal consiglio d’Europa, la Russia cessa di essere parte della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo e poi a gennaio del 2023 è stato chiuso il gruppo Helsinki, uno degli storici gruppi che si occupavano di diritti umani in Russia, attivo dagli anni 70, mentre parallelamente nasce la nuova dissidenza russa.

In Russia la dissidenza non punta a rovesciare il regime né ad invertire l’ordine politico, né tantomeno si può contare su un capo.

Il fenomeno della dissidenza nasce con un regime molto severo e con la violenza costituita in quanto pratica di governo.

Attualmente non esiste la dissidenza come movimento unico, perché ognuno agisce perlopiù individualmente.

Oggi gli oppositori del regime vergono perseguitati con agguati a casa e arresti.

Se dal 24 febbraio del 2022, giorno dell’invasione dell’Ucraina, sono emersi diversi movimenti di dissenso del popolo russo riguardo il conflitto, ora questi ultimi sono stati messi a tacere a causa della severa censura e del regime del terrore.

Celebre è il caso della pittrice e attivista settantenne Elena Osipova, simbolo dell’opposizione «all’operazione speciale» condotta in Ucraina, che è stata arrestata dalla polizia nello scorso marzo, mentre stava manifestando.

Lei che è sopravvissuta da bambina all’assedio tedesco alla città di Leningrado, in un’intervista ricorda ciò che ha imparato sin da piccola da suo padre: «Papà chi resta quando avremo ucciso tutti i nostri nemici?» Risposta: «Gli assassini».

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